Carteggi di Psicologia
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Tu da che parte stai? La necessità di schierarsi, polarizzazione del pensiero 

Autori: Andrea Pompili, Roberto Noccioli già pubblicato sulla rubrica Carteggi di Psicologia in AGR

L’immagine: Interaction – Spazi che si sovrappongono. Pittrice: Daniela Sesto – Acrilico su tela 30*30

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In fondo mi piacerebbe vedere un talk show, dibattito, confronto, dialogo. Bello, sa di democrazia. Ma poi non lo faccio mai, non lo faccio più da tanto tempo e ieri, accendendo la tv, mi sono ricordato il perché. 

Più i temi sono caldi, più quello che prometteva di essere un equilibrato scambio di punti di vista si fa acceso, liquidato brevemente il dibattito il tutto si trasforma in un gioco a chi urla di più, a chi prende la parola con più veemenza pur di urlare la propria posizione.  

Posizioni che puntualmente sono diametralmente opposte, quasi non ci fosse la possibilità di trovare punti di contatto, di incontro. Se solo pensiamo agli ultimi quattro anni, ci vengono in mente no tav/pro tav, porti aperti/porti chiusi, covid si/covid no, apriamo tutto/chiudiamo tutto, no vax/pro vax, Ucraina/Russia.  

Qual è il comun denominatore di tutti questi contrasti? La polarizzazione del pensiero, la spinta ad una estremizzazione delle nostre idee.  

Non fraintendetemi avere una posizione, parteggiare non è di per sé qualcosa di negativo, “odio chi non parteggia, odio gli indifferenti” diceva Gramsci, il problema diventa l’estremizzazione.  Il fenomeno lo osserviamo facilmente girando sui social, notiamo prese di posizione rigide, che non danno possibilità di scambio, nessuna mediazione: “o la pensi come me, o stai sbagliando!”.  

Ma che succede sui social? 

Il numero di informazioni alle quali siamo sottoposti è sempre in aumento, post infiniti si manifestano nei nostri dispositivi, apriamo un giornale (virtuale o meno) e abbiamo a disposizione contenuti in quantità tali da non poterli leggere tutti, dobbiamo quindi selezionare.  

A selezionarli ci pensano in parte gli algoritmi, che ci facilitano il compito facendoci apparire solo “le informazioni che ci interessano”, esponendoci ad un numero enorme di dati e di informazioni in linea con il nostro pensiero.  

In estrema sintesi siamo d’accordo con noi stessi! 

Ma c’è un altro aspetto che complica ulteriormente la situazione: il nostro cervello non può elaborare facilmente in tempi veloci concetti eccessivamente strutturati o quantomeno ha bisogno di uno sforzo commisurato alla complessità dell’informazione. Dato che siamo “programmati” per ridurre il consumo di energia, per fare economia ed evitare gli sprechi, ecco che alcuni “meccanismi” psicologici ci vengono in aiuto.   

Meccanismi riduzionistici selezionati dall’evoluzione per rendere più semplici, più elaborabili e più assimilabili concetti che non sono per noi abituali. In psicologia le chiamiamo “euristiche”, scorciatoie cognitive utili a muoverci velocemente nella scelta dei comportamenti adeguati al contesto nel quale ci troviamo. 

Le euristiche ci facilitano il compito, velocizzano il processamento di informazioni e ci facilitano la vita quotidiana, ma ci portano anche a fare errori sistematici nel ragionamento che facciamo e che consideriamo razionale. Tali errori vengono detti bias.  

L’euristica su cui mi voglio soffermare in questo articolo, che accompagna la polarizzazione del pensiero, è l’euristica di disponibilità. 

L’euristica della disponibilità (ne parliamo anche qui) è una scorciatoia cognitiva che ci porta a pensare che si verifichino con più probabilità gli eventi di cui ci vengono più facilmente esempi in memoria. Quindi il modo di funzionare dei social, che ci mostra ciò che è in linea con i nostri interessi, si sposa perfettamente con la “pigrizia” del nostro cervello e tende a cristallizzare le nostre opinioni. Come dicevo, siamo d’accordo con noi stessi! 

Torniamo quindi al fenomeno che ci interessa in questa sede: la cosiddetta polarizzazione delle opinioni.  

Questo fenomeno, che avviene a livello individuale, ma si ripercuote a livello sociale, fa sì che l’atteggiamento di una persona, sottoposta ad una serie ripetuta di stimoli relativi ad un argomento, si estremizzi sempre di più. Vale a dire che più una persona viene a contatto con un argomento, più la sua opinione rispetto a questo argomento si cristallizza e si polarizza.  

Come per una sorta di “facilitatore” del pensiero, i nostri schemi mentali cercano di incastonare le informazioni complesse, in categorie più semplici, più digeribili. Questa polarizzazione avviene, quindi, su assi valoriali semplici: giusto-sbagliato, buono-cattivo, amico-nemico. La questione più curiosa, però, è che il fenomeno di polarizzazione delle opinioni non avviene, come sarebbe intuibile, su persone esperte dell’argomento; ma avviene in soggetti che si approcciano all’argomento in maniera naif, inesperta.  

Per questioni che vedremo più aventi questo fenomeno si attenua quando i soggetti sono già, oppure diventano, profondi conoscitori dell’argomento in questione. Quindi chi è veramente competente,ma anche chi non ne sa nulla, risulta essere più neutro o comunque più disponibile al dialogo e al confronto; mentre i fan più sfegatati di un argomento, quelli più intransigenti e schierati saranno quelli che si collocano in una fascia di conoscenza intermedia.  

Facciamo un esempio attuale. Prima dello scoppio della guerra Ucraino-Russa poche persone sapevano dell’esistenza di contrasti etnici in quelle zone oppure di interessi economici relativi alle risorse primarie; oggi in molti dissertiamo di geoeconomia, diritto internazionale e regole di ingaggio in guerra. Ma quello che più colpisce è che le persone, al bar come sui social, prendono una posizione, difendono o offendono una fazione e contrastano chi la pensa diversamente. Le posizioni sono diametrali: qualsiasi riflessione è posta sul piano dello schierarsi da una parte o dall’altra della barricata. Cerchiamo di individuarne alcune cause. 

Come abbiamo già detto, i social hanno una caratteristica: tendono a dare visibilità a contenuti coerenti con quelli più frequentemente visionati. Gli algoritmi sottostanti mettono in risalto ciò che più frequentemente visioniamo per proporci contenuti coerenti con quanto fatto in precedenza.  

Questo comporta non solo che più ci avviciniamo ad un argomento, più quello ci viene riproposto, ma più leggiamo articoli, o filmati, appartenenti ad un modo di pensare (leggi “schieramento”), più questo tipo di contenuti ci saranno sottoposti. A livello esperienziale, quindi, avvicinandoci ad un argomento da un punto di vista, avremo visibilità su contenuti coerenti con quel punto di vista.  

Nell’esempio sopra riportato: se leggiamo articoli con un taglio politico vicino all’Ucraina, sarà più probabile che quelli che ci saranno sottoposti avranno un simile approccio. Vuoi perché contenuti nello stesso giornale, scritti dallo stesso giornalista/autore, vuoi perché visionati da persone che hanno letto gli stessi articoli. Questo avviene anche nella vita non virtuale: tendiamo a contornarci di persone che hanno una visione del mondo simile alla nostra. 

A livello cognitivo, quindi, avremo la sensazione che la maggior parte dei contenuti scritti nella rete riporti elementi coerenti con il nostro pensiero. 

C’è un altro fenomeno psicologico che, partendo da basi diverse, produce un effetto simile a questo: si chiama dissonanza cognitiva. Secondo questo costrutto, un individuo si trova in una situazione emotiva soddisfacente, sta bene,quando le informazioni in suo possesso sono coerenti tra di loro (consonanza cognitiva), mentre sperimenta una sensazione di disagio quando le informazioni risultano incoerenti.  

Leon Festinger
Leon Festinger (New York, 8 maggio 1919 – New York, 11 febbraio 1989), psicologo e sociologo statunitense, teorico della “dissonanza cognitiva”.

La nostra natura ci porta ad abbassare il più possibile la sensazione di dissonanza e ad essere in una situazione di coerenza. Tra le conseguenze di questo fenomeno, due sono particolarmente interessanti nel nostro caso:  

  • tendiamo ad “aggiustare” le informazioni dissonanti per renderle coerenti con il proprio sistema valoriale.  
  • tendiamo a confrontarci con informazioni che producono consonanza e ci allontaniamo da quelle che producono dissonanza. 

Questo comporta che messi di fronte a qualcosa in contrasto con il nostro sistema valoriale,ad esempio un fatto, un articolo, un filmato o semplicemente un’opinione, la reazione viscerale sarà di: 

  • aggiustarlo. Vale a dire confutarlo, svalutarlo, criticarlo, rivederne i presupposti. 
  • Ignorarlo. 

Il combinato disposto di questi fattori comporta che la nostra esperienza nei confronti di un argomento sarà sempre più cristallizzata su un punto di vista perché le informazioni che reperiamo avranno maggiore probabilità di avere un taglio coerente con quello di partenza e che noi tenderemo a scartare informazioni divergenti.  

Come dicevamo in precedenza, inoltre, il nostro sistema di valori si rafforzerà sempre di più per un effetto riverberante di questi fenomeni: più informazioni coerenti riceviamo, più scartiamo quelle divergenti, più ci esponiamo ad informazioni “che ci piacciono”. 

Non siamo però totalmente vittime di questi sistemi, c’è anche la possibilità di una reazione meno viscerale e rettiliana, la possibilità di innalzare il livello di complessità del ragionamento.    

Uno storico psicologo svizzero, Jean Piaget, riferendosi alla modalità di apprendimento dei bambini, sosteneva che esso si basa su due fasi: l’assimilazione e l’accomodamento. La prima è quella attraverso la quale incorporiamo informazioni esterne secondo le nostre strutture mentali. Il bambino abituato a vedere i gatti in casa, vedendo per la prima volta un cane non avrà difficoltà ad inserire quell’essere, seppur diverso dal gatto, nella categoria conosciuta degli animali. L’accomodamento, invece, è quel processo per cui modifichiamo la nostra conoscenza per ampliare le categorie in nostro possesso e adattiamo i nostri schemi mentali alle nuove esperienze. Sempre il nostro bambino vedendo una rondine la inserirà nella categoria “animali”, ma creerà anche quella di “volatili”. 

Jean Piaget (Neuchâtel, 9 agosto 1896 – Ginevra, 16 settembre 1980)

Secondo Piaget l’apprendimento e la conoscenza del bambino si basano sulla continua alternanza tra questi due processi e soprattutto sulla loro interazione. L’assimilazione struttura le conoscenze possedute e le cristallizza; l’accomodamento permette l’ampliamento delle conoscenze e le fa progredire. 

Il processo di assimilazione tende ad essere più frequente con il passare degli anni: strutturate delle categorie sempre più numerose, in una logica di economia, è più semplice accorpare nuove informazioni piuttosto che ristrutturare le conoscenze già assimilate ed accomodarne di nuove.  

Riorganizzare i nostri pensieri a fronte di nuove informazioni è un processo più dispendioso; lo fanno i bambini, perché diversamente non progredirebbero nel pensiero, lo fanno i profondi conoscitori di una materia, per accrescere la conoscenza.  

Nel mezzo ci siamo tutti: tutti approcciamo ad argomenti nuovi o poco conosciuti. È qui nel mezzo che possiamo scegliere se schierarci all’impronta e seguire i processi psicologici basici e le logiche algoritmiche delle esposizioni sociali; oppure se compiere degli sforzi più importanti aprendoci alla possibilità di modificare i nostri atteggiamenti, mettere in discussione le informazioni già possedute e, magari, progredire nel processo di conoscenza. 

Piccolo suggerimento: Quando vi avvicinate ad una notizia, provate ad ascoltare anche le voci dissonanti! 

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