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Psicologia Applicata, origini: filoni precursori

Possiamo definire con il termine “psicologia applicata” un’area disciplinare autonoma che si caratterizza in maniera applicativa, con scopi pratici e socialmente utili, che ha sviluppato nel corso degli anni, tecniche ed ambiti differenti da quelli del “laboratorio”.

autore: Roberto Noccioli

Dare una definizione univoca della psicologia applicata è un compito non facile: “Alcuni tendono a considerarla come la scienza dell’uomo nel suo ambiente abituale; altri come l’applicazione di una scienza fondamentale, teorica, pura, sperimentale; altri invece come una prassi concreta non legata alla scienza”[1]. Possiamo però definire con il termine “psicologia applicata” un’area disciplinare autonoma che si caratterizza in maniera applicativa, con scopi pratici e socialmente utili[2], che ha sviluppato tecniche ed ambiti differenti da quelli del “laboratorio”.

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Reuchlin[3] individua le radici di questa area disciplinare in tre correnti di idee che animavano la psicologia alla fine del XIX ed agli inizi del XX secolo: lo strutturalismo, la psicologia dinamica ed il funzionalismo.

lo strutturalismo

Lo strutturalismo prende le mosse da tre autori, i quali, pur non potendo essere ancora definiti come psicologi in quanto legati ad altre discipline, segnarono la strada alla nascita della psicologia scientifica: Ernst Weber (1795-1878), Gustav T. Fechner (1801-1887) e Hermann von Helmholtz (1821-1894)[4]. Capostipite della scuola strutturalista fu lo psicologo tedesco Wilhelm Wundt (1832-1920), che ne definì l’oggetto (la struttura della coscienza, analizzata scomponendone gli elementi principali) e il metodo di studio (l’introspezione). Wundt non definì mai la propria psicologia come “strutturalista”, egli la considerava semplicemente “psicologia”. Il termine “strutturalismo” venne coniato nel 1898 da un suo allievo lo psicologo inglese Edward B. Titchener (1867-1927) il quale, trasferitosi negli Stati Uniti, portò avanti e sviluppò il lavoro del suo maestro. L’opera di Titchener esercitò una grande influenza nella cultura americana, ma con la sua morte la scuola strutturalista tese in poco tempo a scomparire[5].

La prospettiva psicodinamica

La prospettiva psicodinamica è difficilmente definibile in quanto racchiude in sé diversi orientamenti. Il cui denominatore comune è costituito dalla visione dei fenomeni psichici attraverso le componenti motivazionali, i sistemi di forze in continua interazione e una concezione integrata dell’individuo[6]. Alla fine dell’Ottocento l’aggettivo “dinamico” era utilizzato per definire i fenomeni patologici non riconducibili a malattie organiche del sistema nervoso[7]. La prima linea di ricerca in questo ambito può essere individuata in Francia[8] nelle applicazioni dell’ipnosi alle patologie psichiche e nelle teorie “energetiche” della personalità. Importanti per la nascita e lo sviluppo della psicopatologia francese furono gli insegnamenti di Theodule Ribot (1839-1916) e Jean-Martin Charcot (1825-1893), maestri ambedue di Pierre Janet (1859-1947), che dà vita alla prima teoria sistematica di psicologia patologica in una prospettiva psicodinamica. Sintetizzando i tentativi analoghi di altri neurologi e psichiatri della seconda metà dell’Ottocento, permette di superare l’impostazione organicistica nella spiegazione dei disturbi psichici e realizza una psicopatologia autonoma[9]. La scuola francese esercitò una considerevole influenza all’estero, soprattutto su William James (1842-1910).

Nel Novecento si diffondono una serie di teorie della personalità che si caratterizzano come “dinamiche”; la più eminente è sicuramente la psicoanalisi di Sigmund Freud (1856-1939). All’interno di tale prospettiva, è rilevante il contributo di Robert S. Woodworth (1869-1962), il quale, soprattutto con il libro Dynamic psychology[10], cercò di dare vita ad una psicologia che ponesse in rilievo cause, bisogni, impulsi, spinte e motivi del comportamento[11]: secondo Woodworth esisteva, infatti, una dinamica interna all’organismo non riconducibile direttamente allo schema comportamentista stimolo-risposta. Importante sottolineare il contributo dato dalla teoria motivazionale di Henry A. Murray (1893-1988), in cui la motivazione viene vista come l’elemento centrale della personalità e quest’ultima viene rappresentata come l’integrazione della varietà di tendenze direzionali che risultano dall’interazione di fattori biologici e sociali.

Da menzionare ancora in quest’ambito sono la psicologia individuale di Alfred Adler (1870-1937), la psicologia analitica di Carl G. Jung (1875-1961), la teoria dinamica di Kurt Lewin (1890-1965) e le teorie olistico-dinamiche di Kurt Goldstein (1878-1965) e Andras Angyal (1902-1960)[12].

La prospettiva funzionalista

Quello funzionalista è forse il paradigma che più direttamente ha influenzato la psicologia applicata, per questo motivo lo approfondiremo nel prossimo articolo.

 

Bibliografia

[1] Reuchlin M., La naissance de la psychologie appliquée, in Reuchlin M., (a cura di), (1971), Traité de psychologie appliquée, vol. 1, P.U.F., Paris ; trad. It., (1973), Trattato di psicologia applicata, vol 1, Armando, Roma.

[2] Lombardo G.P., Foschi R., (1997), La psicologia italiana e il Novecento. Le prospettive emergenti nella prima metà del secolo, Franco Angeli, Milano.

[3] Reuchlin M.,(1971), La nascita della psicologia applicata, in Trattato di psicologia applicata, vol. 1, Armando Armando Editore, Roma.

[4] Hearnshaw L. S., (1989), Genesi della psicologia moderna, Edizioni Kappa, Roma.

[5] Schultz D. P., Schultz S. E., (2000), A History of Modern Psychology, Hartcourt College Publishers.

[6] Mecacci L., (1995), Storia della psicologia del Novecento, Editori Laterza, Roma-Bari.

[7] Ibidem.

[8] Lombardo G.P., Foschi R., (1997), La psicologia italiana e il Novecento, Angeli, Milano.

[9] Mecacci L., (1995), Storia della psicologia del Novecento, Edizioni Laterza, Roma-Bari.

[10]Woodworth R. S., (1918), Dynamic Psychology, Columbia University Press, New York.

[11] Mecacci L., (1995), Storia della psicologia del Novecento, op. cit.

[12] Lombardo G.P., Pompili A., Mammarella V. (2002), Psicologia applicata e del lavoro in Italia: studi storici, Franco Angeli, Milano.

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