Carteggi di Psicologia

Nascita della Psicologia applicata

Agli inizi del Novecento la psicologia cominciava a caratterizzarsi anche da un punto di vista applicativo diffondendosi nelle scuole, nelle fabbriche, nelle agenzie di pubblicità, nei palazzi di giustizia, nei centri di igiene mentale.

autore: Roberto Noccioli

Tra i maggiori contributi allo sviluppo della Psicologia applicata ricordiamo il lavoro dello psicologo tedesco Hermann Ebbinghaus (1850-1909) che, laureatosi in filosofia nel 1873, nel 1880 divenne professore di psicologia all’Università di Berlino. Interessato agli studi sulla memoria, arrivò a dimostrare la possibilità di studiare i processi mentali superiori con l’ausilio del metodo sperimentale. Ebbinghaus si occupò di due temi rilevanti: il ricordo e l’oblio. Il suo obiettivo era quello di dimostrare quanto ed in che modo la memoria e l’oblio fossero influenzati dal processo di apprendimento: per far ciò individuò un programma di sistematizzazione quantitativa dei dati empirici che consentisse di misurare le prestazioni dell’individuo nella riproduzione del materiale appreso.Tutti i suoi esperimenti costituirono un modello di chiarezza e con precisione dimostrarono come la psicologia sperimentale potesse estendersi oltre l’ambito delle sensazioni fino allo studio dei processi mentali superiori. Nel 1897 Ebbinghaus teorizza il “metodo del completamento” utilizzato per determinare la capacità mentale degli scolari e che permetteva una distribuzione più razionale delle ore di lavoro. Questo metodo prese anche il nome di “Ebbinghaus Completion Test” e fu preso come riferimento per molti test successivi riguardanti l’intelligenza e l’attitudine scolastica.[1].

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Gli studi sull’intelligenza  e l’applicazione nel contesto scolastico

Da sottolineare sono le ricerche effettuate dallo psicologo francese Alfred Binet (1857-1911), che si occupò principalmente di stabilire misurazioni oggettive delle differenze individuali e diede vita allo sviluppo dei moderni test di intelligenza[2]. I suoi studi, incentrati sulle funzioni cognitive, la memoria, l’attenzione, l’immaginazione, tendevano ad individuare una misura appropriata di questa facoltà. In psicologia, dove fino ad allora erano state compiute ricerche di stampo prevalentemente psicofisico, si apre un nuovo campo di applicazione: la diagnosi metrica del livello intellettuale degli “anormali istituzionalizzati  e dei “normali” di scuola primaria[3]. Nel 1904, in risposta ai problemi legati all’enorme crescita della scolarizzazione, il Ministro della Pubblica Istruzione francese istituì una commissione per studiare le abilità di apprendimento di bambini che avevano difficoltà nella scuola. L’intento era quello di istituire scuole e classi speciali, ma per fare ciò si doveva prima trovare un sistema per poter evidenziare i deficit a livello mentale. A questa commissione parteciparono anche A. Binet e Théodore Simon (1873-1961), primario del manicomio de La Seine Inférieure, i quali nel 1905 costruirono la prima “scala metrica per la misurazione dell’intelligenza” (detta “Binet-Simon”). I due autori cercarono di individuare compiti psicologici semplici che i bambini normali sono in grado di effettuare entro differenti fasce di età. Con questo primo tentativo si avvierà la tradizione scientifica della psicologia che vede l’utilizzazione dei test in funzione diagnostica e differenziale. Una successiva revisione di questa scala, compiuta nel 1908, sarà costituita da una batteria di test a difficoltà crescente, tali da permettere il raggruppamento dei vari reattivi in rapporto ai diversi livelli di età. Questa modifica la renderà adatta a distinguere i vari livelli di intelligenza anche tra i ragazzi “normali” e ad introdurre i concetti di “età mentale” (il livello delle capacità mentali accertate dalla scala) ed “età cronologica” (il livello delle capacità mentali possedute dalla media dei bambini di una determinata età). Il rapporto tra età mentale e cronologica sarà successivamente definito “quoziente di intelligenza” (QI); questo costrutto, insieme alla scala di Binet e Simon, saranno largamente applicati in contesti sia scolastici sia lavorativi.

Binet evidenziò, che le misure di attività sensoriali semplici, spesso condotte in laboratorio, non si erano rilevate utili nel discriminare quelle caratteristiche psichiche su cui poter fare affidabili previsioni riguardanti la riuscita scolastica o lavorativa degli individui. Egli sosteneva che il modo migliore per discriminare gli individui fosse nella rivelazione delle capacità psicologiche superiori[4].

Le prime applicazioni in ambito evolutivo e psicopedagogico

Tra le prime applicazioni della psicologia in ambito educativo è rilevante il contributo di Granville Stanley Hall (1844-1924), Formatosi ad Harvard e divenuto professore alla Johns Hopkins University di Baltimora. Proprio qui Hall fondò il primo laboratorio americano di psicologia, dando inizio ad una feconda opera di organizzazione del lavoro psicologico. Nel 1880, tornato da Lipsia, dove aveva seguito i corsi di Wundt, fa una serie di conferenze sui problemi riguardanti l’educazione riscuotendo un enorme successo negli insegnanti, lanciando una campagna di inchiesta, tramite questionario, riguardante i problemi dell’infanzia e dell’adolescenza, finalizzate al raccoglimento di informazioni (non differenziali) sul pensiero dei bambini, con l’intento di applicarle a livello psicopedagogico[5].

Hall riveste un ruolo importante non solo per i suoi studi sull’adolescenza, ma anche per aver promosso nel 1887, la pubblicazione di una rivista, dedicata in modo specifico alla psicologia sperimentale: l’American Journal of Psychology; per aver contribuito a dar vita all’American Psychological Association e per aver pubblicato nel 1905 il Journal of Applied Psychology, la prima rivista che si occupa di psicologia del lavoro e delle organizzazioni[6].

In linea con la teoria evoluzionista, Hall affermava che i bambini nel loro sviluppo personale ripetevano la storia di vita della razza umana, sviluppandosi da uno stato vicino a quello selvaggio nell’infanzia, ad uno stato razionale nell’adolescenza e alla civiltà umana nell’età adulta, evidenziando come nella filogenesi si ripetessero le tappe evolutive dell’ontogenesi.

Grazie ai suoi contributi ed all’avvio del Child Study Movement, Hall è considerato tra i primi psiologi studiosi di adolescenza[7].

La psicologia dell’educazione viene così influenzata da una realtà caratterizzata da elementi tecnici ed economici; in quest’ottica la scuola doveva formare la società del futuro e alla psicologia veniva chiesto di chiarire quale insegnamento e quale apprendimento favorire.

Psicologia dell’orientamento scolastico e professionale

Ancora negli Stati Uniti tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento Frank Parsons (1858-1909) compie una serie di studi con l’intento di individuare attitudini e capacità di soggetti (per lo più disoccupati e vagabondi) al fine di rintracciare una professione confacente alle qualità personali di ciascun individuo analizzato. Sulla scia dei risultati ottenuti nel 1908, fonderà a Boston il Vocational Guidance Center (dove per la prima volta verrà utilizzato il termine “Vocatinal Guidance”) e l’anno successivo pubblicherà  Choosing a Vocation, l’opera con cui si fa nascere ufficialmente l’orientamento professionale[8].

Un importante contributo all’orientamento scolastico e professionale venne con il lavoro di Edouard Claparède (1873-1940) che si occupò di classi speciali per bambini ‘difficili’ e dell’adattamento scolastico dei bambini ‘normali’[9]. Egli inoltre fondò nel 1912, a Ginevra, l’Istituto Jean-Jacques Rousseau contribuendo allo sviluppo internazionale delle applicazioni pedagogiche della psicologia.

Psicologia Clinica

Da sottolineare ancora è l’opera di Lightner Witmer (1867-1956), con il quale si fa coincidere la nascita della psicologia clinica. Allievo di Wundt e assistente di Cattell, succede a quest’ultimo all’Università di Pennsylvania. Egli fu il primo ad utilizzare le espressioni “psicologia clinica” e “metodo clinico”[10] nel convegno annuale dell’American Psychological Association, tenutosi nel dicembre del 1896 a Boston; nello stesso anno, fondò la prima la prima clinica psicologiaca (la Psychological Clinic)[11], dedicata principalmente al recupero di bambini che presentavano problemi di sviluppo, oltre che alla psicoterapia. Witmer avanzò la prima proposta di fondazione della psicologia clinica e promosse l’utilizzazione del metodo clinico in psicologia[12]. Legati al nome di questo autore sono anche il primo corso sulla psicologia clinica e la prima rivista riguardante quest’ambito intitolata Psychological Clinic, pubblicata tra il 1907 ed il 1935.

Witmer divenne il promotore, all’interno della psicologia scientifica statunitense, del più ampio ambito disciplinare rappresentato dalla psicologia clinica e la sua “Clinica psicologica” divenne un punto di riferimento per la fondazione successiva di altri importanti istituti americani deputati alla cura della salute mentale dei fanciulli[13]. Per Witmer la psicologia clinica doveva essere finalizzata al servizio pubblico e sociale, alla ricerca ed alla formazione di psicologi clinici ed comprendente applicazioni attitudinali, educative, correzionali, igieniche, industriali e sociali[14].

Psicologia del lavoro

Le applicazioni della psicologia in ambito industriale si caratterizzano principalmente con il lavoro di  Hugo Münsterberg (1863-1916), considerato da vari autori[15] come il fondatore della psicologia del lavoro[16]. Nato a Danzing, in Germania, conduce studi di medicina, fisiologia e biologia ad Heidelberg, si trasferisce a Lipsia presso il laboratorio di Wundt. Successivamente viene chiamato ad Harvard da William James (1842-1910), il quale gli affida la direzione del suo laboratorio[17]. Qui nel 1913 pubblica Psychology and Industrial Efficiency, nel quale l’autore da notizia delle ricerche svolte e delle prospettive di quest’ambito di applicazione, ponendo molta enfasi sull’indagine delle differenze individuali. Egli suddivide il campo della psicologia industriale in tre aree principali[18]: in primo luogo la selezione del miglior individuo possibile per lo svolgimento del compito, attraverso l’uso di test psicologici e di orientamento professionale; in secondo luogo, l’individuazione delle migliori condizioni di lavoro possibile e di adeguati metodi di addestramento; in terzo luogo, la vendita dei prodotti del lavoro per mezzo di pubblicità e dimostrazioni efficaci.

Negli Stati Uniti agli inizi del ventesimo secolo gli studi sui contesti lavorativi subirono una forte influenza dall’opera di Frederick W. Taylor (1856-1915) il quale, riproponendosi di ridisegnare la situazione lavorativa per raggiungere una maggiore produzione per l’azienda e un più alto salario per il lavoratore, espone la sua teoria in The Principles of Scientific Managment (1911). L’autore individua quattro principi fondamentali: a) definizione scientifica dei metodi di lavoro per garantire l’efficienza; b) selezione dei migliori lavoratori e loro addestramento nei nuovi metodi; c) sviluppo di uno spirito cooperativo tra manager e lavoratori; d) divisione della responsabilità dell’organizzazione e della esecuzione del lavoro. I contributi di Taylor fornirono agli operatori aziendali una precisa metodologia di intervento centrata sullo studio degli impianti, delle attrezzature, dei processi e sulla divisione, misurazione e controllo dell’attività lavorativa[19]..

Legato al nome di Taylor ed alla sua teoria vi è quello dell’industriale americano Henry Ford (1863-1947), fondatore della casa automobilistica omonima, il quale proseguì gli esperimenti del primo, introducendo, nel 1910, la catena di montaggio, ideata per accelerare il ritmo del lavoro umano; il lavoro veniva in questo modo diviso in fasi dettagliate e, successivamente, ricomposto grazie all’aiuto di macchine automatiche polivalenti e a squadre specializzate di lavoratori. La catena di montaggio utilizzata da Ford nelle fabbriche di Detroit, permetteva maggiore ordine e velocità nell’esecuzione del lavoro ed un consistente guadagno di spazi.

Il lavoro di Taylor mostrò però una serie di svantaggi dovuti ad una eccessiva divisione del lavoro e all’inumanità dei suoi ritmi. Dalla critica all’organizzazione scientifica del lavoro nasce l’esigenza di tenere conto del fattore umano. A questo scopo nacque nel 1915, l’Health of Munition Workers Committee (Comitato per la salute dei lavoratori) e nel 1917, l’Industrial Fatigue Research Board (Commissione per le ricerche sulla fatica per l’industria) presso  cui si svolgeranno esperimenti e ricerche nelle industrie per studiare gli effetti della fatica sul rendimento generale[20]. Nel 1924 ebbero inizio, grazie ad una joint venture tra la Western Electric e l’Università di Harvard, una serie di esperimenti condotti dallo psicologo australiano Elton Mayo (1880-1949), presso lo stabilimento di Hawthorne, con lo scopo di indagare il rapporto tra luminosità dell’ambiente lavorativo e l’efficienza lavorativa. Il lavoro di Mayo fu rilevante non tanto per le sue ipotesi (che non furono validate dagli esperimenti), ma fu notato che le lavoratrici coinvolte negli esperimenti, condizionate dall’essere oggetto di attenzione da parte dei ricercatori, si adoperavano per fare ciò che li avrebbe altamente impressionati, cioè l’essere altamente produttive[21]. Venne così messo in evidenza un fenomeno che da qui in poi verrà definito effetto Hawthorne[22].

Da questi primi studi nasce il movimento delle Relazioni Umane, destinato a cambiare l’ottica degli studi sul lavoro, non è più l’uomo a dover essere “adattato” al lavoro, come ipotizzava il taylorismo, ma è il lavoro, inteso come ambiente lavorativo, ad dover essere adattato all’uomo. L’organizzazione industriale teorizzata dal movimento delle Relazione Umane inaugura una nuova fase della rivoluzione industriale moderna, una fase psicologica che subentra a quella più propriamente tecnicistica[23].

Furono però le guerre mondiali a segnare un importante momento di sviluppo delle applicazioni della psicologia al lavoro, considerate capaci di contribuire alla prosperità di un’intera nazione o di una singola organizzazione produttiva. In quest’ottica Robert M. Yerkes (1876-1956) coordinò un gruppo di psicologi che misero a punto i test per la selezione del personale militare, l’Army Alpha (per le persone in grado di leggere e scrivere) e l’Army Beta (per gli analfabeti)[24], coinvolgendo ai fini del progetto più di un milione e mezzo di individui.

Nel 1917, l’American Psychological Association fondata da Yerkes, istituì, nel 1917, ben 11 commissioni incaricate di studiare i settori per i quali la psicologia era utile alla guerra:

  • una Commissione di bibliografia psicologica militare, finalizzata a preparare bibliografie e riassunti di lavori di psicologia militare che potevano interessare l’opera e il lavoro delle altre Commissioni;
  • una Commissione per lo studio psicologico delle reclute, la quale si interessava di preparare e adattare per le reclute degli schemi di ricerche che potevano essere applicati dagli ufficiali combattenti, dai medici generici e dagli specialisti addetti ai centri neurologici psichiatrici:
  • una Commissione per la scelta di uomini con attitudini particolari, la quale si occupava di distinguere gli uomini capaci o meno di esercitare funzioni di comando;
  • una Commissione per lo studio dei problemi connessi all’aviazione per l’esame dei candidati aviatori;
  • una Commissione per i problemi delle incapacità psicologiche e funzionali, compresi i problemi della rieducazione e dell’allenamento;
  • una Commissione per i problemi psicologici della ricreazione nell’Esercito e nella Marina;
  • una Commissione per i problemi pedagogici e psicologici relativi all’allenamento e alla disciplina militare;
  • una Commissione per i problemi della motivazione in connessione col servizio militare;
  • una Commissione per i problemi relativi alla stabilità emotiva e al self-control;
  • una Commissione per i problemi acustici relativi ai militari, la quale studiava i metodi per la localizzazione dei suoni e per la loro utilizzazione nell’identificazione dei sottomarini, della posizione delle batterie, ecc., specialmente nel campo navale;
  • una Commissione per i problemi visivi d’interesse militare[25].

In Francia il nascere della psicologia del lavoro è invece dovuto agli studi di Jean-Maurice Lahy (1872-1943), allievo di Toulouse. Nel 1910 effettuò interessanti ricerche sulle condizioni di lavoro dei linotipisti. Egli cercava degli indici obiettivi della fatica nel lavoro intellettuale e indicava certi segni fisici di superiorità professionale nei dattilografi[26].

In Gran Bretagna gran parte della ricerca venne inizialmente organizzata dall’ Health of Munition Workers Committee, sostituito nel 1918 dall’Industrial Fatigue Board, che aveva il compito di “valutare e studiare la relazione fra ore di lavoro e altre condizioni di prestazione d’opera, inclusi i metodi di lavoro, e produzione della fatica, con riferimento tanto all’efficienza industriale quanto alla tutela della salute dei lavoratori”[27]. Al termine della guerra le sue ricerche vennero proseguite. Le industrie del cotone, del ferro e dell’acciaio, quella calzaturiera e le lavanderie commissionarono al Comitato, fra le altre, ricerche relative ai problemi della salute e dell’efficienza. Nel 1928, dopo essere stato inserito nel Medical Research Council, ricevette la denominazione di Health Research Board.

Nel 1921 Charles. S. Myers (1873-1940) fondò in Inghilterra il National Institute of Industrial Psychology; nello stesso anno veniva fondato da J.M. Cattell negli Stati Uniti la Psychological Corporation[28]. Entrambi gli istituti dovevano svolgere ricerche psicologiche che comportavano possibilità di applicazione nell’industria e, a richiesta di queste ultime, fornire consulenze specifiche. L’Università di Londra inoltre collaborò con l’Istituto Nazionale consentendo agli studenti dell’Istituto di conseguire un diploma in psicologia industriale.

Psicologia Giuridica

Tra le prime applicazioni della psicologia ritroviamo anche la psicologia giuridica che viene a distinguersi progressivamente sia dall’antropologia criminale che dalla psichiatria, discipline nate in seno al positivismo e da questo fortemente influenzate, che godevano di un largo credito in ambiente giuridico. I primi studi in questo senso furono quelli di Alfred Binet sulla suggestionabilità riportati in uno scritto edito nel 1900[29] e quelli sulla psicologia della testimonianza di William Stern editi nel 1902[30]. I nostri autori avevano dimostrato che la capacità a testimoniare era fortemente influenzata dall’età (essa aumenterebbe intorno ai 9-10 anni, per poi diminuire verso gli 11-13 e aumentare di nuovo raggiunti i 14) e dal sesso[31].

Una prima definizione degli studi di psicologia giuridica viene fornita dallo svizzero Claparède, il quale, in un articolo dal titolo Psychologie juridiciae del 1906 parla di “psicologia legale” intendendo indicare con tale definizione le molteplici applicazioni della psicologia a questioni giudiziarie. La psicologia legale si componeva a sua volta dellla “psicologia criminale”, concernente lo studio dell’atto criminoso e della “psicologia giudiziaria”, che si occupava degli attori dell’attività processuale (psicologia del giudice, psicologia del testimone, psicologia dell’imputato).

Negli Stati Uniti è Hugo Münsterberg a porre le basi per le applicazioni della psicologia in ambito giuridico, pubblicando nel 1907 On the Witness Stand[32], nel quale identifica molti processi psicologici in grado di influenzare i testimoni per quanto riguarda la percezione ed il ricordo[33]. L’anno successivo William Healy (1869-1963) fondò a Chicago il Juvenile Psychopatic Institute, una clinica psicologica che si affiancò ad un servizio di nuova concezione, il tribunale minorile. L’Istituto svolgeva attività di consulenza per i giudici del Tribunale minorile di Chicago, dava pareri e forniva il trattamento per i minori sotto la giurisdizione del Tribunale stesso. Healy sosteneva e metteva in atto un approccio psicodinamico, interessandosi del funzionamento emotivo, della patologia sociale e del problema della disonestà e del disadattamento.

La psicologia del testimone rappresentò per molto tempo il capitolo più nutrito della psicologia giudiziaria, fortemente legato a temi fondamentali della psicologia generale: la suggestione, le illusioni ottiche, l’attenzione, l’emozione e l’obli. L’obiettivo di tali studi era l’accertamento della veridicità della prova testimoniale tramite ricerche di psicologia sperimentale, volte a stabilire l’accuratezza dei dati percettivi, cognitivi e riproduttivi, valutati anche in base agli aspetti motivazionali e di relazione[34].

Il forte sviluppo della psicologia applicata avvenuto tra le due guerre mondiali influì anche sullo sviluppo della psicologia giuridica, e sulla visibilità di questa negli ambienti giudiziari; andando a coprire ogni settore del mondo legale[35].

La prima metà del Novecento la psicologia applicata ha teso a connotarsi principalmente come psicotecnica, la quale a sua volta a teso a caratterizzarsi, differentemente da come era stata pensata dai suoi creatori, principalmente come riferita all’ambito industriale e dell’orientamento.

 

Note bibliografiche

[1] Boring E. G., (1950), A history of experimental psychology, Appleton-Century-Crofts INC., New York.

[2] Schultz D. P., Schultz S. E., (2000), A History of Modern Psychology, Hartcourt College Publishers.

[3] Reuchlin M.,(1971), La nascita della psicologia applicata, in Trattato di psicologia applicata, vol. 1, Armando Armando Editore, Roma.

[4] Reisman J.M., (1999), Storia della psicologia clinica, Raffaello Cortina Editore.

[5] Reuchlin M.,(1971), La nascita della psicologia applicata, op. cit.

[6] Lück H. E., (1991), Breve storia della psicologia, il Mulino, Bologna.

[7] Luccio R. definisce G.S.Hall come il fondatore della psicologia dello sviluppo

[8] Lombardo G.P., Pompili A., Mammarella V. (2002), Psicologia applicata e del lavoro in Italia: studi storici, , Franco Angeli, Milano.

[9] Pieron H., (1959), Les grainds domaines d’application, in Traité de psychologie appliqué, livre VII, PUF, Paris, p. 1399.

[10] Per metodo clinico si intende l’atteggiamento osservativo mirato alla raccolta sistematica di dati relativi ad un singolo individuo nel suo contesto ambientale; si caratterizzava, dunque, come un intervento sul funzionamento della personalità indagata al fine di un suo pieno ripristino” (Reisman J. M., 1996).

[11] Schultz D. P., Schultz S. E., (2000), A History of Modern Psychology, op. cit.

[12] Lombardo G. P., Foschi R., (1996), Studi di storia della psicologia, Kappa, Roma.

[13] Ibidem.

[14] Lombardo G.P., Foschi R., (1999), Introduzione all’edizione italiana, in Reisman J.M., Storia della psicologia clinica, Raffaello Cortina Editore.

[15] Thomson 1972; Reuchlin 1973; Hearnshaw 1986; Avallone 1994; Lombardo 1997

[16] Münsterberg è di fatto il primo ad utilizzare la psicotecnica in ambito industriale. Fu probabilmente Theodor Gustav Fechner (1801-1887) il primo ad utilizzare il termine “psicotecnica” (poi utilizzato da altri autori come: William Stern (1871-1938), Hugo Munsterberg (1863-1916), Guido Della Valle (1884-1962), Edouard Claparède (1873-1940)), designando le tecniche utilizzate nella ricerca psicofisica. Lo psicologo tedesco William Stern, nel 1903, introdusse tale termine per indicare quella strumentazione metodologica utilizzata nell’impiego di procedimenti specifici della psicologia differenziale; questi intendeva, per psicotecnica, una disciplina che suggerisce i mezzi per agire sugli uomini, onde raggiungere dei fini aventi un certo valore (Canestrelli e Meschieri, 1952).

[17] Sensales G., (1981), La nascita della psicologia industriale: Hugo Münsterberg, in Psicologia Italiana, n° 5-6, vol 3.

[18] Hearnshaw L. S., (1989), Genesi della psicologia moderna, Edizioni Kappa, Roma.

[19] Avallone F., (1994), Psicologia del lavoro, La Nuova Italia Scientifica, Roma.

[20] Lombardo G.P., Pompili A., Mammarella V. (2002), Psicologia applicata e del lavoro in Italia: studi storici, op. cit.

[21] Avallone F, (1994), Psicologia del Lavoro, Nuova Italia Scientifica, Roma.

[22] Con il termine effetto Hawthorn si continua ad indicare un mutamento nel comportamento conseguente ad una condizione di novità, che evolve in un graduale ritorno al precedente livello di comportamento non appena l’effetto della novità si esaurisce.

[23] Lombardo G.P., Pompili A., Mammarella V. (2002), Psicologia applicata e del lavoro in Italia: studi storici, op. cit.

[24] Avallone F, (1994), Psicologia del Lavoro, op. cit.

[25] Lombardo G.P., Pompili A., Mammarella V. (2002), Psicologia applicata e del lavoro in Italia: studi storici, op. cit.

[26] Leplat J., (1973),  La psicologia del lavoro,  in Trattato di psicologia applicata, vol 1, Armando, Roma.

[27] Thomson R., (1972), Storia della psicologia, Boringhieri, Torino.

[28] Avallone F, (1994), Psicologia del Lavoro, op. cit.

[29] Binet A, (1900), La suggestibilité, Schleicher, Paris.

[30] Stern W., (1902), Beiträge zur Psychologie der Aussage, Barth, Lipsia.

[31]Lombardo G. P., Foschi R., (1999), La psicologia giuridica in Sante De Santis tra psicologia differenziale e psicologia applicata, in Soro G, La psicologia in Italia: una storia in corso, Franco Angeli, Roma.

[32] Hothersall D, (1995), History of Psychology, Mc Graw Inc., New York.

[33] Brodsky S. L., (1978), Lo psicologo nella giustizia penale, Giuffrè editore, Milano.

[34] Lombardo G. P., Foschi R., (1999), La psicologia giuridica in Sante De Santis tra psicologia differenziale e psicologia applicata, op. cit.

[35] Hearnshaw L. S., (1989), Genesi della psicologia moderna, Edizioni Kappa, Roma.

 

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