Qualche settimana fa mi sono imbattuta, un po’ per caso un po’ per scelta, nella serie televisiva Mare fuori, tanto sponsorizzata in rete e tanto nominata tra le persone intorno a me, di diverse età.
Detenzioni presso l’Istituto Penitenziario Minorile di Napoli, storie di vite spezzate troppo presto, famiglie poco amorevoli alle spalle, cuori infranti e intossicati per quei vissuti poco gentili e così tanto inclini alla violenza. Relazioni disfunzionali e valori apparentemente lontani dal vissuto comune costellano assiduamente l’esistenza dei protagonisti.
Finestre chiuse da sbarre che affacciano sul mare, un mare che per quanto appaia vicino risulta sempre troppo lontano per chi lo guarda dalla propria cella. Il mare è una distesa di speranza che sta lì, oltre gli errori commessi e una pena da scontare.
Il mare è fuori e a guardarlo ricorda ogni volta quel richiamo alla libertà, tanto desiderata quanto ancora troppo inafferrabile.
La spinta che guida l’agire di quei giovani è la vendetta, come se facendola pagare all’altro si ottenesse quella tanto ambita garanzia di crescita personale, potenza sociale, rispetto e, in ultimo, una diminuzione del proprio dolore.
I comportamenti problematici sono mossi da una ragione d’amore
Gli attori interpretano in maniera straordinaria personaggi accomunati dalla voglia di rivalsa, ma estremamente diversi tra loro.
A guardarli mi sono coinvolta a tal punto da affezionarmi ad ognuno di loro come quando lavoravo in Comunità con adolescenti problematici. Nessun loro comportamento, nemmeno il più apparentemente insensato, è in realtà privo di senso ed è nella volontà di comprenderlo che si abbraccia la più alta forma di empatia.
Trovo sempre molto interessante soffermarmi sulle diverse personalità che si delineano all’interno di un gruppo di persone. Dalla più discreta e remissiva, a quella più sfrontata e autoritaria, tutte, senza eccezione alcuna, sono maschere costruite con il massimo impegno possibile per fronteggiare le proprie fragilità ed il mondo esterno.
Da bambini si è mossi da un primo grande bisogno, che è quello di sentire vicini i propri adulti di riferimento. Più questi ultimi sono vicini, più il livello di sicurezza percepito è alto. Questa è la premessa che spiega perché un certo bambino tende ad agire determinati comportamenti e non altri. Comportamenti che possono essere compresi solo qualora vengano letti all’interno del sistema di sicurezza/insicurezza che quel bambino ha appreso all’interno della sua famiglia.
La modalità attraverso cui si costruiscono le regole di questo sistema sono piuttosto semplici: si tende ad imitare o a differire il comportamento osservato dagli adulti significativi del proprio ambiente di vita, così da garantirsi la loro vicinanza affettiva.
La voce interiore che guida ad agire è sempre rivolta a questi ultimi ed è la seguente: “sarò come te, così che tu possa apprezzarmi ed amarmi“, oppure: “sarò il tuo esatto opposto, così che tu possa capire che hai torto e, alla fine, amarmi“.
I comportamenti problematici, in questo senso, possono essere intesi come un regalo verso chi si è preso cura di colui che li agisce, come gesti che rispondono ad un bisogno di lealtà verso i propri cari e che nascono quindi da un bisogno d’amore.
Le relazioni che curano
All’interno della serie televisiva sopra citata, seppur siano presenti numerose scene di violenza e gesti apparentemente privi di slanci empatici, c’è un costante e potente richiamo alle ferite emotive che guidano l’agire di ognuno e alla sensibilità con cui si abbracciano, più o meno facilmente, le attenzioni dell’altro quando risultano amorevoli.
All’interno di una realtà criminale, dove la personalità di bambini poco amati evolve in una personalità adulta “deviata”, c’è ancora spazio per accogliere l’amore, per sanare quelle ferite che, seppur doloranti, trovano il rimedio per smettere di sanguinare.
Non c’è dolore che non possa essere curato, non c’è storia che non possa essere riscritta, non c’è finale che non possa essere cambiato.
Nella serie non ci sono figure terapeutiche come quella dello Psicologo, ma ci sono senza dubbio relazioni che curano. Questo è l’aspetto che mi ha spinto a riflettere e a scrivere al riguardo, perché è nelle relazioni che si scoprono le proprie fragilità, che si trovano le strategie per fronteggiarle, che si attuano i comportamenti disfunzionali e che si ha la possibilità di sperimentare quelli più sani.
Per poter ammirare qualcosa che sta fuori è necessario prima possederne qualche aspetto dentro. Il mare è fuori dal carcere, ma è aprendo il proprio cuore e dando voce alle sue parole migliori che si trova la pace interiore e si abbraccia la salvezza.
Nessuno è colpevole di per sé, ma tutti diventano responsabili della propria condotta laddove risulti disfunzionale e non si scelga di cambiare. Il cambiamento non è un obiettivo semplice da raggiungere, ma è un processo che, con volontà e sostegno, è senza dubbio realizzabile.
La terapia è il mezzo attraverso cui è possibile concedersi questa opportunità.