Come funziona un leader efficace? Cosa fa per condurre a risultati di successo il proprio gruppo di lavoro?
Sostiene e coinvolge le sue persone, o le domina? Le incolpa per un insuccesso o mette in budget il fallimento? Le usa o le fa crescere? Comanda o chiede? Incute paura o rispetto? Pretende o concede fiducia? Insomma, quali strumenti utilizza?
Domande arcinote alle quali libri, conferenze, seminari, illustri esperti hanno cercato di dare risposte o quanto meno spiegazioni. Lungi da me l’idea di rispondere o spiegare, ma qualche considerazione provo a farla.
Attenti al lupo! Una vecchia leggenda cherokee racconta che in ognuno di noi vivono due lupi: uno superbo e orgoglioso, l’altro gioioso e semplice. Chi non la conosce pone sempre la stessa domanda: quale dei due lupi vincerà? L’ego è la prima tentazione del leader. Dopo ogni successo, spesso ci si dimentica che si riparte comunque da zero. Tenere presente questo principio fa sì che il successo non trasformi il NOI in IO. Siamo il risultato delle nostre decisioni, vincerà il lupo che stiamo sfamando di più.
Apertura e responsabilità. Una strategia risultata efficace l’anno prima, può rivelarsi del tutto inutile l’anno successivo. Per cercare una nuova strada/soluzione si può provare a guardare il problema da una diversa prospettiva, dando fiducia al proprio potenziale di idee, al proprio intuito, oltre che al background esperienziale, senza temere il proprio e l’altrui giudizio.
Si possono ascoltare i collaboratori, le loro idee e punti di vista, per farsi dire da loro cosa fare, responsabilizzandoli, rendendoli co-leader. In tal senso, il coaching può rappresentare un efficace supporto per implementare l’autostima di un capo, la consapevolezza di sé, delle proprie risorse e delle aree migliorabili.
“I dirigenti migliori non sono quelli che fanno di più, ma quelli che, una volta usciti di scena, lasciano gente di gran lunga migliore di loro”
Pepe Mujica, capo dello stato dell’Uruguay fino al 2015
Esempio e ispirazione sono il timone di colui che conduce le sue persone attraverso le impetuose acque dell’organizzazione.
E, proprio come il capitano di una nave in mezzo all’oceano, un buon capo non si limita a prendere decisioni ma ‘usa ciò che è’ (utilizza le risorse interiori) per attivarsi e affrontare i marosi insieme a tutti i suoi uomini, per condurre l’equipaggio e la nave in un porto sicuro (obiettivo), rifornirsi di provviste e ripartire per nuove mete.
Proprio come la pratica zen, il cui fine è quello di perseguire la felicità nel qui e ora, promuovendo una naturale consapevolezza nella vita quotidiana, il leader che desidera ottenere risultati di qualità non si concentra sul risultato finale, ma sulle attività quotidiane. Verifica criticità e imprevisti, rettifica e va avanti. Un passo alla volta. Nel presente. Consapevole di ciò che gli accade mentre gli accade. Un modo di vivere che non si può comprendere solo razionalmente, ma un viaggio di esplorazione che necessita di esperienza e che, attraverso la pratica, aiuta a gestire la paura di fallire e fortifica la capacità di resilienza.
La mindfulness, che prende spunto dalla pratica zen, fornisce qualche suggerimento per allenarsi a mantenere consapevolezza e attenzione al momento presente,
per esempio:
- lasciare andare le cose che non si possono controllare. L’unico individuo di cui si può realmente detenere il pieno controllo siamo noi: i nostri pensieri, sentimenti e le azioni sono ciò che siamo in grado di modificare. Al contrario, ciò che gli altri pensano e fanno è esattamente ciò che non possiamo controllare. Smettiamo quindi di dare importanza alle azioni e ai pensieri altrui e concentriamo l’attenzione principalmente su di noi;
- concentrarsi sulle cose che vanno per il verso giusto. Facciamo caso ai tanti aspetti positivi della nostra vita, notando tutti quegli avvenimenti favorevoli che ci consentono di procedere senza intoppi. Facciamo una lista delle cose che vanno secondo le nostre aspettative. Rileggiamola frequentemente per non perdere di vista i molti lati positivi della nostra vita;
- osservare il modo in cui reagiamo alle situazioni negative. Quando accade un evento sfavorevole, fermiamoci a osservare le nostre sensazioni. Potremmo sentirci stressati, tristi o arrabbiati… è normale che accada. La cosa importante è avere consapevolezza che noi non siamo quelle emozioni. Che se le lasciamo andare, e non le tratteniamo col pensiero, spariranno più in fretta. Se per esempio siamo arrabbiati per un contrattempo/imprevisto non ripensiamo all’episodio che ha scatenato l’emozione della rabbia, ma lasciamola andare via con un respiro profondo. E se poi il pensiero ritorna lo manderemo via ancora e ancora…
Si tratta solo di qualche spunto, tuttavia iniziare un processo di osservazione e analisi può rendere un leader maggiormente consapevole, facilitando il controllo delle proprie sensazioni, incoraggiandolo a modificare quegli aspetti del comportamento che può dominare. Può, inoltre, aiutarlo a mantenere la calma in situazioni difficili, a gestire gli inevitabili imprevisti determinati dalle dinamiche umane, bilanciando il raziocinio con l’intelligenza emotiva può sostenerlo nell’affrontare le sfide della vita in modo più efficace, aumentando tranquillità e stabilità interiore, per poter cogliere altri aspetti del quotidiano.
Per esempio, che la società in cui viviamo ci ha abituati ad amare le cose e ad utilizzare le persone, invece di utilizzare le cose e amare; riconoscere, valorizzare le persone, facendoci perdere di vista il principio più importante alla base di ogni progetto umano, quello che rende la leadership un’arte:
le persone sono più importanti delle cose.
Suggerimenti di lettura
S. Kryiananda (2008), “L’ arte di guidare gli altri. La via verso una nuova leadership“, Ananda Edizioni;
J. Heider, D. Dreher, (1998), “Il Tao della Leadership“, D. Goleman
E Herrigel, “Leadership emotiva”, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli