il terapista ABA è il responsabile dell’implementazione diretta dei programmi educativi e riabilitativi basati sull’Analisi Applicata del Comportamento (ABA) per bambini con Disturbo dello Spettro Autistico (Autism Spectrum Disorder, ASD).
Negli ultimi dieci anni si è diffuso in Italia un “nuovo” lavoro: il terapista ABA. In genere psicologo, educatore, TPNEE o Logopedista, il terapista ABA è il responsabile dell’implementazione diretta dei programmi educativi e riabilitativi basati sull’Analisi Applicata del Comportamento (ABA) per bambini con Disturbo dello Spettro Autistico (Autism Spectrum Disorder, ASD). Solitamente ha svolto una formazione breve (circa 40 ore) post laurea in ABA presso istituti privati o università.
Il terapista ABA può lavorare in centri di riabilitazione o a domicilio. Non esiste un numero preciso di ore di lavoro. Solitamente dedica da un minimo di 4 a un massimo di 20 ore settimanali per bambino. Il suo programma di insegnamento/riabilitazione può essere supervisionato con cadenza quindicinale/mensile da un’altra figura “nuova” del panorama lavorativo psico-sociale italiano, il Supervisore ABA o Consulente ABA. Quest’ultimo ha solitamente svolto una lunga formazione post universitaria (circa 2000 ore tra teoria, pratica e supervisione).
Il terapista ABA è, sfortunatamente, uno dei pochi lavori in Italia che non conosce crisi. Le ragioni sono molteplici. Una è certamente e tristemente di carattere epidemiologico: l’aumento delle diagnosi di ASD. È ormai noto il dato sull’innalzamento vertiginoso dei tassi di prevalenza di ASD nella popolazione Americana – da 1 su 166 nel 2004 a 1 su 59 nel 2018 (Baio et al. 2018). La seconda ragione è, più probabilmente, insita nel tipo di lavoro richiesto.
Proviamo ad analizzare alcune caratteristiche di questo lavoro, prendendo in considerazione solo una parte della popolazione totale, ovvero i terapista ABA domiciliari:
1. Confini e giudizi.
Lavorare in un ambiente domestico è probabilmente molto più stressante che lavorare in un ambiente ambulatoriale. Il lavoro in ambiente domiciliare richiede maggiore esperienza, maggiore flessibilità mentale e una miglior comprensione dei confini personali/professionali che sono continuamente messi alla prova. D’altra parte, anche per le famiglie l’inserimento di uno “sconosciuto” all’interno delle routine quotidiane può essere motivo di stress; alcune regole e abitudini che possono essere “normali” per alcune famiglie, potrebbero apparire strane o inusuali ad alcuni terapisti, e viceversa. La paura del giudizio da una parte e il rischio di giudicare dall’altra sono alcuni dei fattori di stress che i terapisti ABA domiciliari devono conoscere e gestire.
2. Lavorare da soli
Mentre all’interno di un centro, se si è fortunati e se si sono costruite delle buone relazioni lavorative, si può giovare in continuazione di un confronto/conforto con gli altri membri del team, il lavoro presso domicilio non prevede questo tipo di benefit. Capita spesso infatti che i terapisti ABA passino le ore post lavoro avviluppati in dilemmi come “ho fatto bene?”/“ho fatto male?”/“potevo fare di meglio?” in attesa della supervisione di turno.
3. Comportamenti problema
Un altro fattore di rischio, può essere la gestione dei comportamenti problematici. Avere, infatti, in continuazione la responsabilità che questi bambini non ingeriscano oggetti, non si mettano in pericolo, non avviino comportamenti auto o etero lesivi mette il terapista ABA in una costante condizione di attivazione e allerta (sentimento, per altro, condiviso da molti genitori). Senza un supporto esterno, questo fattore può diventare alla lunga estremamente usurante.
4. Aspettative
Oltre a dover gestire tutti questi aspetti, il terapista ABA, trovandosi in “prima linea”, ha il compito di gestire le aspettative di tutto il sistema “curante”, famiglia, neuropsichiatra, supervisore e scuola. Essendo il responsabile dell’implementazione del progetto, è spesso (a mio avviso erroneamente) considerato anche il responsabile del successo/fallimento del trattamento del bambino.
5. L’ABA funziona
Sulla falsa riga del punto 4, qui consideriamo una “estremizzazione” che contribuisce a rendere il terapista ABA domiciliare uno dei lavori più stressanti nell’area psico-socio-sanitaria: “L’ABA funziona”. Ergo, se lo strumento è giusto si è scelto l’artigiano sbagliato. Seguendo questo filo logico, le responsabilità di un intervento poco efficace ricadono quindi sul Terapista .
Posto che l’efficacia dell’ABA è stata più volte dimostrata in vari studi randomizzati e controllati (Lovaas, 1987; Sallows and Graupner, 2005) sulle aree di Linguaggio, Comportamento Adattivo e Quoziente Intellettivo, questo non implica che la non responsività del trattamento sia da imputarsi sempre e comunque al terapista. Molto più spesso la risposta richiederebbe una analisi complessa e una revisione del sistema curante/curato, che vada al di là del ruolo del singolo terapista.
6. Spostamenti e materiali
Per chi vive in città particolarmente “vivaci”, come Roma, Palermo o Napoli, spostarsi da un domicilio all’altro può essere motivo di grande preoccupazione. Inoltre il tempo passato in auto, solitamente non viene retribuito. Per 4 ore di lavoro effettivo, a Roma, possono essere necessarie (se includiamo gli spostamenti) circa 7 ore di lavoro effettive. Un’ulteriore fascia di tempo (non sempre retribuita) viene impiegata per la preparazione o reperimento dei materiali. Una delle caratteristiche dell’ABA è, infatti, l’estrema individualizzazione dei programmi, per cui ogni bambino ha bisogno di materiali appositamente dedicati e costruiti. La pastificatrice, il velcro e la colla vinilica sono, talvolta, i migliori amici dei terapisti ABA. I costi dei materiali e dei giochi a volte possono essere anche a carico del terapista stesso.
7. L’autismo
Ultimo punto, ma non di minore importanza, è la diagnosi dei bambini con cui questi terapisti lavorano. Le difficoltà socio-comunicative possono mettere altamente alla prova le attitudini dei terapisti. Avere di fronte un bambino che non risponde alle nostre richieste, che non ci guarda, un bambino assorto nei propri interessi, un bambino con forti rigidità e con comportamenti che possono apparirci talvolta insensati o decontestualizzati, un bambino che non collabora, o tende addirittura ad essere oppositivo, rende sicuramente questo lavoro ulteriormente faticoso (non tutte queste caratteristiche sono sempre co-presenti, ma anche solo la presenza di una di queste caratteristiche può rendere l’interazione molto faticosa per il terapista).
Il risultato è che questo lavoro viene svolto solitamente per due o tre anni, il Burn-out è dietro l’angolo ed è necessario un continuo ricambio di terapisti, con conseguente mancanza di continuità nel trattamento.
Ci sono molte cose che i sistemi di presa in carico potrebbero fare per rendere questo lavoro meno faticoso. Tuttavia spesso non ci sono sufficienti risorse o possibilità per migliorare la qualità del lavoro di questi operatori. A questo punto quindi, la domanda da porsi è
“cosa può fare il terapista ABA per ridurre lo stress e il senso di solitudine che questo lavoro comporta?”
Provo a rispondere ancora una volta per punti:
a. Prima di tutto converrebbe porsi una domanda: “Perché sto facendo questo?”
Dato il carico di stress e performance richiesti, sarebbe conveniente conoscere il percorso che ha portato a scegliere questo lavoro. Non è accettabile la riposta “per guadagnare soldi” dato che esistono molti altri impieghi più semplici e meglio remunerati.
b. Da cosa è mosso?
Una volta compreso il motivo per cui si sta facendo questo lavoro, sarà più semplice per il terapista capire quali sono i valori che intende portare avanti. Da cosa è mosso? Dalla necessità di accondiscendere sempre e comunque alle richieste dei supervisori, della famiglia o della scuola? Ci sono delle aree che vanno al di là delle aspettative degli altri? Aree che possano soddisfare il terapista a prescindere dalla valutazione che gli altri fanno del suo lavoro?
Quando facevo questo lavoro, le mie aree di soddisfazione erano un’apertura comunicativa o un contatto oculare ben modulato o un tentativo da parte del bambino di condividere una narrazione personale. Il lavoro era comunque pesante, ma almeno avevo ben in mente cosa mi rendeva felice quel giorno. Sapevo quale era il mio “rinforzo”.
c. Motivazione esterna
Una volta lavorato sulla motivazione interna sarà più facile per i terapisti lavorare sulla motivazione esterna. La paga è soddisfacente? C’è bisogno di qualcuno che aiuti nella costruzione dei materiali? Il contesto di lavoro è sicuro?
Conviene lavorare anche su questi aspetti, quantomeno facendo presente ai responsabili del trattamento quali sono i punti critici. Non è tanto importante ottenere dei cambiamenti effettivi, quanto piuttosto mettere in luce le aree critiche. È molto importante farlo nel modo più rispettoso possibile, segnalando comprensione per lo status quo lavorativo, ma portando avanti comunque, in modo educato e gentile, i propri bisogni.
d. Condividere
La condivisione è lo strumento più potente per uscire dalla solitudine di questo lavoro. Non è un caso che l’autismo sia uno degli argomenti che annovera più esperti e convegni in Italia e nel mondo. Nei limiti del rispetto della privacy dei clienti/pazienti e della vostra etica professionale, è molto importante trovare degli spazi di condivisione con colleghi in cui poter mettere in mezzo problematiche, sventure e successi lavorativi comuni.
e. Limiti
Chiudo questo mio breve vademecum una brutta notizia: nessuno può salvare il mondo da solo. Tutti abbiamo dei limiti, talvolta anche molto evidenti e non è possibile fare tutto, sempre e al meglio. Conoscere i limiti, quello si può e quello che non si può fare, quello che si vuole e quello che non si vuole fare, ci ricorda che siamo solo una parte del complesso mondo “Autismo” e che, quindi, non siamo soli.
Bibliografia
Baio J, Wiggins L, Christensen DL, Maenner MJ, Daniels J, Warren Z, Kurzius-Spencer M, Zahorodny W, Robinson Rosenberg C, White T, et al. Prevalence of autism spectrum disorder among children aged 8 years—Autism and developmental disabilities monitoring network, 11 sites, united states, 2014. MMWR Surveill. Summ. 2018, 67, 1–23.
Lovaas, OI. Behavioral treatment and normal educational and intellectual functioning in young autistic children. Journal of Consulting and Clinical Psychology. 1987; 55:3-9.
Sallows GO, Graupner TD. Intensive behavioral treatment for children with autism: four-year outcome and predictors. Am J Ment Retard. 2005;110:417– 438.