autori: Andrea Pompili, Roberto Noccioli Articolo pubblicato sulla rubrica Carteggi di Psicologia AGR online
L’immagine: Layering. Pittrice: Daniela Sesto – Acrilico su tela 30*30
Una delle paure ricorrenti, per chi come noi è cresciuto negli anni ‘80 del secolo scorso, era quella di ritrovarsi nel pieno di un conflitto nucleare. Guardavamo film apocalittici, di sopravvivenza post conflitto, seguivamo cartoni animati che raccontavano di mondi postatomici nei quali sopravviveva solo il più forte ed il mondo, come lo conoscevamo, era scomparso. Anche nei telegiornali il tema della cosiddetta guerra fredda veniva ripreso spesso, lasciando nella nostra generazione un senso di precarietà dell’esistente, l’idea che da un momento all’altro sarebbe potuto finire tutto.
Con la fine degli anni ‘80, il crollo del muro di Berlino, la riunificazione della Germania, lo sfaldamento dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, pensavamo ormai di averla scampata. Pensavamo di aver superato quel pericolo e di essere al sicuro nella “pacifica” e rassicurante Europa. Certo ci sono state altre guerre sparse per il mondo, alcune ci hanno coinvolto più o meno direttamente, ma erano tutte lontane dai nostri confini, quantomeno dalla nostra idea di confine (tranne la guerra nella ex Juogoslavia, ma quello lo registrammo come un conflitto interno ad uno stato, non come guerra tra stati). Quella paura generata dall’idea di un pericolo costante, dalla possibilità improvvisa di cadere nell’ignoto, è andata mano mano scemando, attivandosi solo di tanto in tanto con i vari eventi che si sono succeduti negli ultimi 30 anni.
“Improvvisamente” poi veniamo svegliati dal nostro torpore da una notizia inaspettata (da tutti tranne che dai Simpson e dai servizi segreti statunitensi), la Russia invade l’Ucraina! Si parla di missione lampo: tre giorni e l’Ucraina cadrà sotto i colpi della possente macchina da guerra russa. Così non è. C’è un’escalation “inaspettata”, gli Stati europei sembrano prendere posizione, l’America prende posizione, ci troviamo catapultati in mezzo a due schieramenti netti, est contro ovest, le minacce crescono, nuovamente piombiamo nella paura di un conflitto nucleare! Nuovamente ci troviamo nell’incertezza.
Eravamo appena usciti da un’altra guerra, così come è stata definita da qualcuno, la guerra contro un nemico invisibile, che ci aveva isolati ed indeboliti, costretti ad allontanarci dai nostri affetti e cambiare drasticamente il nostro modo di vivere. Non facciamo in tempo ad uscire da uno stato di emergenza che ci ritroviamo in un’altra situazione emergenziale.
La paura torna prepotentemente a bussare alla nostra porta, a ricordarci che le nostre pianificazioni, i nostri progetti, i nostri desideri, sono incerti, sono basati su un mondo che in realtà è instabile. Ma cos’è la paura? Che effetto ha su di noi? In che modo impatta sulle nostre scelte e sulle nostre decisioni? Che effetto ha sulle masse?
Nella letteratura psicologica tendiamo a fare una differenza tra due emozioni che si attivano in relazione al pericolo, due emozioni ben definite, paura ed ansia. La paura è quell’emozione che proviamo difronte ad un pericolo imminente; l’ansia è quella che sperimentiamo rispetto alla possibilità che esso si ripeta o avvenga in un futuro prossimo. Proviamo paura, ad esempio, vedendo un uomo con un pugnale che ci viene incontro; l’ansia, invece, la sperimentiamo nel timore che questo evento possa accadere o possa ripetersi.
La paura, una delle emozioni primarie comune a tutte le specie animali, emerge dalla percezione di minaccia (reale o percepita) e produce una serie di attivazioni prima fisiologiche e poi psicologiche. L’ansia è un’attivazione psicologica generata dall’anticipazione del pericolo.
È chiaro che nella vita quotidiana ansia e paura vanno di pari passo, ma, se seguiamo queste premesse, rispetto alla guerra, potremmo dire che quello che sperimentiamo più comunemente, stando a distanza, sia l’ansia. Eppure, come dicevamo prima, non è la prima volta che “vediamo” scene di guerra, ma più facilmente rispondevamo a questi stimoli con altre emozioni. Verosimilmente abbiamo percepito tristezza ascoltando le storie delle persone che si sono trovate ad affrontare e vivere queste situazioni, abbiamo provato angoscia in alcuni casi.
La capacità, tutta umana, di provare “simpatia” (nel senso etimologico del termine) con i soggetti con cui entriamo in contatto ci ha fatto provare queste emozioni. Alcuni di noi, poi, sempre a seguito di questa nostra capacità, potranno aver percepito la rabbia. Rabbia nei confronti del nemico, dell’ingiustizia (che sempre accompagna le guerre) e/o del contesto politico ed economico che ha generato queste situazioni.
Quello che abbiamo notato nel caso della vicenda Ucraino-Russa è che molte persone riferiscono di percepire uno stato di malessere che chiaramente richiama il vissuto di ansia.
L’ansia che quanto accade in altre parti del mondo, ad altre persone, possa accadere a noi? L’ansia che gli effetti diretti o indiretti della guerra si ripercuotano su di noi? L’ansia che qualcosa di sconosciuto arrivi e spazzi via il nostro vivere quotidiano: quello che fino ad oggi abbiamo costruito, i nostri sogni, i nostri progetti e le nostre speranze.
Per molti di noi questo è difficilmente tollerabile. Possiamo essere abituati a convivere con l’ansia, magari anche a gestirla, ma non siamo abituati a gestirne una di questa portata o di questa tipologia. La differenza non è quantitativa, ma è qualitativa. Alcuni di noi sono abituati a governare l’ansia: nel lavoro, nella vita privata, per motivi di salute o per il quotidiano che ci circonda. Ma l’idea di potersi ritrovare come uno dei poveri sfollati che vediamo nei telegiornali, probabilmente non è, fino ad oggi, mai stato uno spettro immaginabile.
Ma come rispondono le persone a questa ansia? Alcuni rimangono attaccati ai mezzi di comunicazione, cercando di cogliere tutte le notizie possibili, una sorta di abbuffata di informazioni; altri si muovono sul piano contrario, evitano tutte le informazioni riguardanti il conflitto, negandone l’esistenza o quanto meno facendo finta che non li riguardi; altri ancora si attivano cercando di “fare” qualcosa più o meno attivamente (organizzare raccolte di materiali e cibo, accogliere, manifestare). Tutte queste strategie di azione hanno la funzione di abbassare il livello di ansia, farci sentire maggiormente in grado di agire sulla realtà che ci circonda.
Cosa fare quindi? Come affrontare da un punto di vista psicologico questa situazione?
Come spesso diciamo nella stanza di terapia: il primo passo è riconosce l’emozione, poter dare un nome a ciò che sentiamo, ammetterne l’esistenza per poter poi capire la matrice dei nostri vissuti, che effetto ha su di noi, che tipo di risposte attiva, per modularla e poter continuare ad affrontare il nostro quotidiano.
L’ignoto ci spaventa perché non ci permette di fare previsioni, di capire se abbiamo o meno le risorse per affrontare gli eventi. Guardare nella direzione della paura, comprendere cosa sta succedendo ed accettare di non poter agire su tutto, sono i passaggi per rendere questo ignoto un po’ più abbordabile.