Quinto capitolo della rubrica di Psicologia del lavoro, un introduzione al coaching psicologico.
autore: Roberto Noccioli
Il coaching è una metodologia che supporta singoli e gruppi nel processo di miglioramento delle performance ed è proposta da diversi anni all’interno del panel degli interventi di sviluppo professionale.
L’Ente Italiano di Normazione (UNI) definisce così il coaching: “[…] un processo di partnership finalizzato al raggiungimento degli obiettivi definiti con il coachee e con l’eventuale committente e si basa su una relazione strutturata di reciproca fiducia. L’agire professionale del coach facilita il coachee a migliorare le prestazioni professionali e personali mediante la valorizzazione e il potenziamento delle sue risorse e capacità”.
In cosa consiste? In una serie di colloqui basati su domande finalizzate a far riflettere il coachee (colui che riceve il coaching) su una situazione che vuole migliorare o sui risultati che vuole ottenere e per trovare una modalità di azione che possa costruire una strada basata su azioni concrete. Il coach non dà soluzioni. L’esperto della soluzione è il coachee.
Com’è strutturato? In una serie di sessioni che possono andare da 4 a 12, di un’ora e mezza/due ciascuna, con un intervallo che va dai 15 ai 20 giorni tra una e l’altra. Dunque un percorso di coaching dura tra i 3 e gli 6 mesi.
Tra i benefici citati ci sono: maggiore consapevolezza dei propri comportamenti personali e relazionali e del loro impatto sugli altri e sul contesto organizzativo; ampliamento della gamma di comportamenti, abilità e competenze; potenziamento delle competenze personali richieste dal ruolo ricoperto; migliore regolazione dei propri stati d’animo e delle emozioni; allineamento tra valori, decisioni e comportamenti.
Il coaching moderno, pur nato sull’onda dell’opera di Tim Gallwey (“The inner game of tennis”, 1976), utilizza modalità di intervento derivate da un modello Cognitivo Comportamentale e Costruttivista, integrando concetti della psicologia positiva. Il punto di partenza sono le risorse possedute dalla persona che possono supportarla nella ricerca e nell’applicazione delle soluzioni alle problematiche che si trova ad affrontare, portandolo così ad un cambiamento nel modo di agire.
Le scuole di coaching ad oggi sono molte, tutte condividono un modello di riferimento cognitivo comportamentale, ma il coaching psicologico ha la peculiarità di mantenere forte l’ancoraggio alla ricerca scientifica (evidence based).
Vediamo nello specifico quali sono le caratteristiche distintive del coaching psicologico da quelli del coaching in generale.
Il coaching psicologico fa riferimento ad un approccio cosiddetto sistemico. L’approccio sistemico, legge le persone in relazione con altre persone all’interno di un contesto dato. La visione, in questa prospettiva, cambia totalmente rispetto ad un approccio più classicamente individualista. Uno dei principi chiave dell’approccio sistemico è che i problemi non stanno all’interno delle persone, ma tra le persone, il focus è spostato sulla relazione. L’intervento di coaching quindi non è esclusivamente un intervento sull’individuo, ma è intervento su un contesto organizzativo, che è soprattutto un contesto relazionale. L’attenzione ai comportamenti ed alla relazione ha per obiettivo quello di aiutare l’organizzazione a sviluppare le proprie potenzialità e ad adattarsi meglio al proprio mercato di riferimento.
Probabilmente il primo coach della storia, ragionando a posteriori, è stato Socrate con la sua maieutica…
Immagine in evidenza: “La Scuola di Atene” è un affresco di Raffaello Sanzio, databile al 1509-1511 ed è situato nella Stanza della Segnatura, una delle quattro “Stanze Vaticane”, poste all’interno dei Palazzi Apostolici. Rappresenta l’Accademia di Atene Fondata da Platone nel 387 a.C.