Terzo articolo di un ciclo dedicato agli Uditori di Voci, potete trovare il primo a questo indirizzo ed il secondo a quest’altro.
La diffusione dei gruppi per uditori di voci in Italia è stata graduale e progressiva nel corso degli anni, arrivando ad espandersi in diverse regioni della penisola.
Lo studio delle allucinazioni riveste un ruolo fondamentale nella psicopatologia clinica e sperimentale sia perché esse sono connesse a molteplici disturbi psicotici sia perché sono riscontrabili anche in popolazioni non cliniche.
Il 18 febbraio 2012, a Roma, durante il congresso della Società italiana di psicopatologia (Sopsi) si è parlato di allucinazioni uditive; presente anche uno dei massimi esperti mondiali in questo campo, lo psichiatra Ralph Hoffman. In Italia soffrono più o meno ufficialmente di allucinazioni uditive oltre due milioni di persone, ma si stima che possano essere il doppio, proprio perché si tende a non parlarne.
La frequenza del fenomeno nella popolazione generale è comunque tale che ha portato alla costituzione in diversi Paesi di associazioni di persone che «sentono le voci»: associazioni che recentemente si sono unite nel network Intervoice. La Rete accoglie decine di storie anonimamente raccontate sui blog, alla ricerca di simili per non sentirsi soli e anormali. (1)
In Inghilterra, nel 2011, la ricerca epidemiologica sulle voci di Eleanor Longden, psicologa esperta in materia e ella stessa con una diagnosi di schizofrenia, dimostra scientificamente che sentire voci non è un segno di malattia mentale. In un discorso la Longden ricorda che Kraepelin, precursore del termine “schizofrenia”, non pensava che il fatto di sentire le voci fosse attribuibile alla demenza precoce e anche Eugene Bleuler, che ha invece coniato il termine “schizofrenia”, ha pensato che il sentire voci non fosse un importante sintomo psicotico. Solo con Kurt Schneider sentire le voci è diventato un “primo sintomo” della schizofrenia, anche se le voci non erano “cruciali importanti caratteristiche”. La Longden continua a dimostrare che in molte tradizioni spirituali gli uditori di voci sono accettati e apprezzati, dà esempi dei numerosi casi in cui le voci possono essere ascoltate. Si presenta quindi una panoramica di 7 studi scientifici che hanno osservato la presenza di uditori di voci nella popolazione generale. Da questi studi si conclude che il 13% della popolazione generale sente delle voci.
La ricercatrice psicologa esamina poi la questione se gli uditori siano sempre patologici o no. Sulla base della ricerca scientifica la risposta è no. Ma qual è la differenza allora tra uditori patologici e uditori non patologici? La risposta è il loro modo di vivere le voci. Gli uditori di voci, non patologici, lavorano di più con le loro voci, le accettano, ne danno spiegazioni significative e molto spesso risolvono il loro malessere attraverso la comprensione delle ragioni della presenza delle voci. (2)
Durante il tirocinio di specializzazione presso un Centro di Salute Mentale di Roma, ho avuto modo di poter partecipare in qualità di osservatrice agli incontri del gruppo “Uditori di Voci”. Un esperienza intensa che proverò a raccontare nelle prossime righe.
La storia del gruppo parte da Maggio 2012, in un contesto nel quale da molto tempo viene utilizzato il gruppo come strumento psicoterapeutico (Gruppi terapeutici, Gruppi Multifamiliari, Auto-Mutuo-Aiuto). Questa iniziativa è stata stimolata dalla evidenza della necessità di affiancare, nei piani d’intervento già avviati per ciascun utente, un tipo d’intervento nuovo, che stimolasse un maggiore protagonismo anche attraverso la proposta, in modalità più “pratica”, di strumenti e strategie per gestire il sintomo e che, contemporaneamente, contribuisse a rompere l’isolamento che in alcuni casi si era consolidato da lunghi anni per la maggior parte degli Uditori. La persona che afferma di sentire le voci le sente realmente e una volta che l’esperienza viene riportata su un piano di realtà, i possibili sviluppi e le implicazioni non sono molto distanti da quelli che si verificano in qualsiasi relazione umana. Ci si può sentire ossessionati da questa presenza oppure trovarla di conforto, si può subirne il fascino così come si può non tenerla in nessuna considerazione, si può crederle oppure non darle alcun credito, tutto dipende dalla sensibilità e dal contesto in cui l’uditore vive in quel momento, ma dipende anche dalla voce, dalla sua natura e dai suoi scopi. L’approccio del gruppo alle Voci è che una Voce è una comunicazione. La ricerca allora può essere quella di definire chi comunica, cosa e a chi. L’esperienza del gruppo conferma che questo modo di impostare la questione pone già la persona in vantaggio nel processo di gestione delle voci. Si tratta di una esperienza percettiva, come ogni altra che riguarda i sensi e la sensibilità, non va curata, né trasformata a priori, ma compresa e gestita. Per farlo occorre dialogare con le voci: la gestione di questo dialogo nasce dal riconoscerlo come tale e dal confrontarsi apertamente e chiaramente con le voci circa la loro identità e le possibili influenze reciproche. Conoscere se stessi, o imparare a farlo, è essenziale, diventa necessario e di grande aiuto entrare in contatto con altre persone che sperimentano o hanno sperimentato questa esperienza.
Gli incontri avvenivano una volta ogni due settimane, avevano una durata di 90 minuti con una breve pausa di 10 minuti.
Per prima cosa si è definita l’identità del gruppo: cos’è un gruppo, di cosa si occupa, quali sono le caratteristiche, quali sono gli obiettivi, quali sono i ruoli dell’operatore e di chi partecipa. Sono state poi definite le norme del gruppo stesso, tra le quali la più importante risulta essere quella sulla privacy: ciò che viene detto nel gruppo rimane all’interno di esso. In seguito si definirono altre regole, tra cui: la presenza continua nel gruppo, la partecipazione puntuale agli incontri, il tenere spento il telefonino cellulare e il rispetto dei turni di parola.
Si tratta di un gruppo al cui interno ogni partecipante ha la stessa importanza, ognuno si deve sentire libero di esprimere le proprie esperienze, ciò che sente e percepisce, consapevole di non essere giudicato dagli altri. Negli incontri si parla di allucinazione uditive e non solo: si toccano diversi argomenti che riguardano la salute mentale. Un argomento a cui si fa spesso riferimento è quello dello stigma: esterno, cioè la percezione che gli altri hanno del malato (le persone, la società); interno, la percezione che il malato ha di se stesso. Molto spesso, lo stigma interno prevarica su quello esterno, poichè molti membri del gruppo hanno fatto propria la condizione di disagio in cui si trovano a tal punto che fanno fatica ad accettare la possibilità di poterne uscire, invadendo la loro volontà. Scopo principale degli “Uditori di voci” è quello della recovery: rendere l’individuo in grado di assumersi la responsabilità della propria vita, sviluppando uno specifico insieme di strategie volto al fronteggiamento dei sintomi, ma anche delle minacce secondarie della disabilità mentale, che comprendono appunto lo stigma, la discriminazione e l’esclusione sociale. È un processo attivo, dinamico e altamente individuale.Si tratta poi di un gruppo eterogeneo ed aperto a tutti, che ridefinisce e delinea la propria identità ogni volta che entra un nuovo membro. Si muove al di fuori delle categorie e della diagnosi. La scelta di inserire nuovi membri viene sempre condivisa con il gruppo, nel momento in cui gli operatori ritengano che si sia raggiunto un sufficiente senso di appartenenza e di competenza nel trattare il fenomeno delle allucinazioni uditive, all’interno di una relazione di auto-mutuo-aiuto. Gli strumenti e le tecniche utilizzate durante gli incontri sono stati:
–la mappatura delle voci: all’ingresso di ogni partecipante viene condotta una intervista volta a delineare le caratteristiche delle Voci (ad esempio quando è avvenuto lo scompenso, qual è stata la prima Voce, quante sono, che età hanno, qual è il sesso delle Voci, qual è quella dominante…)
–le strategie di fronteggiamento delle voci
–gli esercizi (simulate, role playing…) volti a creare/rafforzare l’unione tra i partecipanti e il senso di appartenenza
–alcuni esercizi fisici volti al rilassamento al termine di ogni incontro
L’obiettivo dei partecipanti è quello di essere un gruppo e la percezione comune è quella di poter evadere dalla condizione di isolamento in cui spesso si è inseriti, di poter sperare in una qualità migliore di vita. Nel gruppo si cerca di normalizzare l’esperienza comune attraverso la condivisone con tutti i membri delle proprie esperienza, non sottoponendo nessuno a giudizio e non attribuendo loro nessuno stigma; inoltre all’interno del gruppo si trovano amici, alleati, persone di cui potersi fidare. Questo aiuta a ridurre l’ansia causata dalle voci e a trovare la giusta spinta per poterle fronteggiare. Aspetto ancora più rilevante è quello della accettazione, in alcuni casi, della presenza delle Voci nella propria vita, iniziando a considerarle come parte di sé e della propria persona.
L’uditore di voce, in questo processo di crescita personale, può essere in grado di riconoscere le proprie potenzialità, le proprie risorse e competenze, riuscendo a sfidare il potere delle voci, iniziando a conoscere la propria esperienza e a convivere con essa.
E’ necessario inoltre inserire il fenomeno delle voci nel contesto culturale di appartenenza, nell’esperienza personale dell’individuo e considerare le voci un modo per avere un dialogo interno, attraverso la creazione di un interlocutore esterno.
Il messaggio principale veicolato all’interno del gruppo è che, paradossalmente, “zittire” le voci collude con il tentativo di non far sapere, con il tentativo di tenere sotto controllo ciò che non si comprende. Al contrario la condivisione sia dell’esperienza che del contenuto delle Voci stesse, diventa un modo “nuovo” di affrontare il problema per l’individuo, la sua famiglia e il suo ambiente.
BIBLIOGRAFIA
- M. Pappagallo, Sentire le Voci, l’appello dei medici: “Non sempre è un problema psichiatrico” , Corriere della Sera 13 Febbraio 2012
- Eleanor Longden, Anna Madill, Mitch G. Waterman, Dissociation, Trauma, and the Role of Lived Experience: Toward a New Conceptualization of Voice Hearing. Psychological Bulletin 2012, Vol. 138, No. 1, 28–76