Quando il lavoro diventa un’ossessione
Il fenomeno del work addiction è conosciuto già da tempo e la letteratura scientifica sull’argomento, soprattutto negli ultimi anni, è notevolmente aumentata.
Secondo una recente ricerca (Sussman e altri, 2011)che ha analizzato la prevalenza di molte forme di dipendenza e co-dipendenza negli Stati Uniti, sembra che l’incidenza del 10% della dipendenza da lavoro sia di poco inferiore a quella per la nicotina e paragonabile a quella dell’alcol. Sebbene in Italia sia pressoché sconosciuta, in altri paesi è ormai considerato un problema sociale. In Giappone, ad esempio, gli studi sull’argomento sono iniziati nel 1967, in seguito alla morte di un operaio per lo stress accumulato a causa delle eccessive ore di lavoro. Tale fenomeno, molto diffuso nella società giapponese, prende il nome di “karoshi” (“morte per eccesso di lavoro”) ed è correlato a decessi dovuti ad attacchi cardiaci e ischemici dovuti al forte stress, alle eccessive ore di lavoro ed alle condizioni di lavoro dannose per la salute. Robinson (1998) si riferisce alla dipendenza da lavoro definendola the welldressed addiction (la dipendenza ben vestita) perché costituisce un fenomeno pervasivo ma non riconosciuto dalla società. La dipendenza da lavoro è un’esperienza caratterizzata dal bisogno di essere ripetuta con modalità compulsive e presenta i fenomeni del craving, dell’assuefazione e dell’astinenza, così come le altre dipendenze patologiche. Il lavoro diventa “uno stato d’animo, una via di fuga che libera il soggetto dall’esperire emozioni, responsabilità, intimità nei confronti degli altri”.
Tutta questa dedizione al lavoro sottrae tempo alla famiglia e agli amici e le relazioni risultano superficiali. Ci si rifugia totalmente nel lavoro e questo, a lungo andare, “diventerà un fattore di pericolo per la salute, compromettendo la felicità, le relazioni interpersonali e l’intero funzionamento” (Oates, 1971). La vita del workaholic è orientata alla perfezione e all’evitamento di ogni tipo di insuccesso ma, nonostante ciò, diverse situazioni professionali e interpersonali espongono al rischio di un fallimento. Quando la dipendenza progredisce, sebbene il workaholic lotti duramente per ottenere performance eccellenti, la sua capacità di prendere decisioni potrebbe essere compromessa e lasciare il posto ad ansia ed insicurezza, provocando in tal modo un calo del rendimento lavorativo (Robinson et al., 2006).
La presenza nel contesto lavorativo di un workaholic può avere un impatto negativo sui colleghi e sull’intera organizzazione aziendale. Spesso, infatti, essi non risultano essere gli eccellenti lavoratori che ci si aspetterebbe, poiché non sono orientati al raggiungimento dell’obiettivo aziendale ma sono dipendenti dal processo stesso del lavorare. La “vocazione” al lavoro che mostrano avrebbe lo scopo, in realtà, di tenerli impegnati per sfuggire alle responsabilità familiari e personali. Per il loro comportamento diligente e responsabile, per l’impegno e la dedizione al lavoro, molto spesso i workaholics vengono ricompensati con promozioni e ricoprono ruoli dirigenziali, tendendo a mettere sotto pressione i propri collaboratori perché raggiungano i risultati attesi, rispettino gli orari e i ritmi lavorativi (Robinson,1998). Tendono ad eccedere nelle critiche verso gli altri e non tollerano gli errori, provocando nei dipendenti reazioni di ansia, paura e insicurezza. Inoltre l’umore del workaholic spesso oscilla tra il distaccato e l’irritabile, fa promesse che poi non mantiene, modifica i programmi rendendo il clima aziendale imprevedibile e incoerente.
La differenza fondamentale tra un qualsiasi lavoratore che si pone standard elevati ed un workaholic risiede nel fatto che il primo, pur lavorando per molte ore non vittimizza gli altri, ama il proprio lavoro ed è “orientato al successo”; al contrario il workaholic crede che nessun altro lavori come lui, non tiene conto del lavoro degli altri e non rispetta le esigenze altrui (Porter, 1996).
Secondo le ultime ricerche la dipendenza da lavoro riguarda piu’ i liberi professionisti che i lavoratori dipendenti (Lavanco e Milio, 2006).
Il successo assorbe le persone in una spirale di prestazioni e livelli di difficoltà sempre più alti per dimostrare a se stessi la propria competenza. Lo stile di vita viene gestito in base ai ritmi del lavoro, si trascura la famiglia o altri interessi. Possono emergere sentimenti di colpa, vergogna o disprezzo verso coloro che spendono del tempo in attività ‘futili’. Possono essere presenti comportamenti aggressivi verso colleghi e famigliari (Loscalzo e Giannini, 2015). In alcuni casi si riscontra la tendenza a giustificare i carichi eccessivi di lavoro. Pressione alta, ulcera e depressione sono spesso correlate alla dipendenza da lavoro(Castiello d’Antonio, 2010 ).
La richiesta di aiuto specializzato arriva spesso su sollecitazione delle persone appartenenti alla sfera famigliare, quando sono a rischio le relazioni interpersonali più significative. Difficilmente, infatti, la persona è in grado di riconoscere il problema da solo.
I centri pubblici specializzati per la cura della dipendenza da lavoro sono ancora esigui, spesso le persone interessate ricorrono a percorsi di cura personalizzati privati come la psicoterapia, a gruppi terapeutici presenti nel territorio nazionale.
Bibliografia
Castiello d’Antonio, Ubriachi di lavoro: Il workaholism. Psicologia contemporanea, a. 37, n. 221 set.-ott. 2010, pp.21-25.
Loscalzo, M. Giannini, Workaholism: cosa c’è di nuovo? Counseling, n. 3– on line, vol. 8, nov. 2015, pp. 1-8.
Lavanco, A. Milio, M. Croce, Fughe nella dipendenza: la work addiction. Personalità/Dipendenze, n. 1 vol. 14, lug. 2008, pp. 9-27.
Lavanco, A. Milio, Psicologia della dipendenza dal lavoro. Work addiction e workaholics, Astrolabio, Roma, 2006.
W.E. Oates, Confessions of a workaholics: The facts about work addiction. New York: World, 1971.
G.Porter, Organizational impact of workaholism: Suggestions for researching the negative outcomes of excessive work. Journal of Occupational Health Psychology, 1, 1996 70-84.
B.E. Robinson, Work addiction: Hidden legacies of adult children. Dearfield Beach, FL: Health Communications, 1989.
B.E. Robinson, Chained to the desk: A guidebook for workaholics, their parents and children, and the clinicians who treat them. New York: New York University Press. Robinson, B.E. 1998.
B.E. Robinson, C. & Ng. K. Flowers, Spouses of workaholics: Clinical implications for psychotherapy. Psychotherapy, n° 35, 2006 p. 260-268.